Fan fiction the vampire diaries st.6 ep.8
MENTRE TUTTO SCORRE
MENTRE TUTTO SCORRE
Mystic
Falls.
Era tornata dall’ufficio da poco meno di un’ora, erano le undici passate e non aveva intenzione di cucinare o ordinare cibo d’asporto. Da quando Caroline non poteva fare ritorno a Mystic Falls conosceva il vero senso della solitudine. Si era sentita così persa solo immediatamente dopo il divorzio da Bill. Caroline era tutto ciò che le restava, eppure la sua bambina non poteva fare ritorno a casa. Era da quasi un anno che non la vedere girovagare per casa, con quella sua risata allegra, insieme ad Elena e a Bonnie. Le aveva viste crescere, sentiva di doverle proteggere, eppure non poteva fare nulla. La sua unica preoccupazione era al momento di non macchiare il tavolino in legno mogano con le gocce di vino che solcavano la bottiglia stappata da poco. Doveva subire limitazioni anche al lavoro. Non era riuscita a dare una spiegazione che fosse soddisfacente all’esplosione del Grill e all’avviso dei soccorsi, partito, secondo la commissione d’indagine, troppo tardi. Si limitava ora a coadiuvare la ricostruzione del sistema di sicurezza della città insieme ad Aloisius Evans. I loro uffici erano equidistanti dalla zona relax, e lui aveva dimostrato un sviluppato sesto senso nel saperla alla macchinetta del caffè espresso. Si abbandonava a questi pensieri, sdraiata sul divano, mentre faceva ruotare il vino nel bicchiere quando il bussare alla porta le ridestava i sensi. Ancora vestito come l’aveva lasciato poco più di mezzora prima, Al le piantava in faccia un sorriso da cui spuntavano troppi denti ed aveva in mano più buste di take away.
“Liz, posso entrare?”
“E perché, scusa?”, si era stretta nella vestaglia da camera, aveva indossato una tuta e non aveva alcuna intenzione di tollerarlo oltre per quel giorno
“Come sarebbe a dire? Abbiamo passato le ultime dieci ore in quell’ufficio, in mezzo a statistiche e scartoffie, senza affrontare il vero nocciolo della questione”, la guardava, stringendo il sorriso, un gesto che di falsa allegria non accompagnato dagli occhi, Liz, guidata dall’istinto ritraendosi, aveva spinto la porta, fermata da Al con una gamba,
“Liz, io so del consiglio dei fondatori, so dei vampiri. Ne dobbiamo parlare!”,
“Vampiri?! Hai bevuto per caso?!”, cercava di mantenere la calma, mentre lui guadagnava l’ingresso.
“Non ho bevuto e non fingere con me. In ufficio sono state installate delle telecamere, ma siamo al punto in cui bisogna insabbiare e non mi sporcherò certo le mani da solo”
“Ma certo…”, si girò di scatto, le mani nelle tasche del nuovo completo Armani, mentre Liz si stringeva nella vestaglia
“Non trattarmi con sufficienza, sapere è il mio compto. Riportare l’ordine…beh, quello dipende anche da te. Non volete questo dipartimentato giusto? E neppure io, mi sono lasciato questa merda alle spalle più di vent’anni fa, credimi, voglio finirla quanto prima”. Non poteva più negare l’evidenza,
“Cosa suggerisci?”
“Beh, la busta piena di cibo che ho poggiato qui in terra suggerisce che ho fame, quindi dovremmo parlarne mangiando”,
“ok”. Ora, come vent’anni prima era capace di mandarla in confusione, non lo voleva in casa, ma su un punto aveva ragione: le cose andavano sistemate. Alla svelta. Doveva riacquisire la giurisdizione della città.
ALTROVE
Da quando Caroline l’aveva lasciato solo stava tentando di aprire la porta. Puntualmente veniva respinto verso la parete.
“Andiamo! Voglio capire con la spina nel fianco di poco fa, ma io? Non sono carino abbastanza? Su porta apriti, su”, tendeva le mani e con cautela riprendeva la maniglia, di nuovo una forza lo respinse verso la parete..
“Accidenti!”, mentre batteva i pugni su quel pavimento bianco, si voltò verso la finestra, i suoi cocchi contratti in un’espressione dubbiosa. Per un attimo, solo per attimo, aveva ceduto a quella fantasia, cosa ne sarebbe stato di lui se avesse accettato di essere vivo in quella maniera? Il pavimento prendeva colore, spingendolo ad alzarsi, impaurito
“Ma che diavolo….!”. Poteva chiaramente vedere il parquet. La stanza era rettangolare, profonda e iniziava a profumare di buono, un odore che sentiva conficcato nel profondo, in una parte di lui quasi dimenticata. Camminava lungo i muri avendo finalmente la percezione dello spazio, quando un rumore attirò la sua attenzione. La serratura era scattata e la porta si era spalancata naturalmente lasciando entrare aria di primavera. Si stava dirigendo verso la porta con cautela. All’altezza delle precedenti prove per uscirne, aveva teso un braccio, ora era del tutto fuori.
“Che diamine di posto è mai questo?...”, dinanzi a lui un giardino rigoglioso. All’ingresso della stanza un piccolo corridoio in pietra che se attraversato portava ad un gazebo tondeggiante, issato su colonne greche alle quali l’edera si era arrampicata. All’interno una panchina in pietra che riempiva il perimetro del gazebo. Dall’interno dello stesso, aveva capito di trovarsi al centro di quel giardino, davanti a lui una fontana, alla sua destra un prato di rose gialle, alla sua sinistra bianche. Provò ad andare oltre il gazebo, ma fu respinto, con forza più brutale di quella della maniglia, verso il corridoio di pietra.
“Damon..”, dietro di lui, dinanzi alla porta della stanza, Bonnie gli tendeva la mano. Indossava una veste bianca, con un cinturino di perle verdi alla vita ed un fiore bianco tra i capelli. Si lasciò aiutare ad alzarsi.
“Ti ho portato questa”, gli porse una sacca di sangue.
“Bonnie, dove l’hai presa? Dove siamo?”,
“Questo dovrei chiederlo io a te”
“Che vuoi dire?”
Saneville Town. Dimora di Lorenzo.
Jeremy aveva ceduto a che Liv venisse curata. Alaric si era trattenuto con lui a lungo, in una conversazione che Elena preferì lasciare privata, lo stesso non può dirsi per Enzo, che commentava ogni frase di Rick detta in segno di cordoglio per Damon.
Liv, che era stata addormentata per qualche ora veniva ora svegliata. Il sole s’alzava, ma non in quella casa, non disponendo Enzo di un anello solare. Sentirono bussare alla porta.
“Elena!”,
“Caroline….”, sentiva risalirle la vergogna provata la sera precedente, quand’aveva rischiato di uccidere la sua migliore amica, “io…”,
“No…non spiegare nulla. Siamo tutti stressati e ora abbiamo altro di cui occuparci”, teneva tra le mani il suo diario, in cui lei ed Elena avevano appuntato i sogni. Era tornata a prenderlo dopo l’sms di Stefan che le assicurava di essere rincasato a villa Whitmore. Un sms di scuse per averla messa a disagio. Tanto le bastava. Forse si era sentito strano anche lui e nelle situazioni di stress il cervello reagisce sempre in amniera inaspettata, a volte si fanno voli pindarici con la fantasia, si vuole qualcosa di cui non si sente la necessità…aveva detto così la professoressa al corso di psicologia?!,
“Biondina?!”, Enzo agitò una mano davanti al suo viso, Caroline era assorbita dai suoi pensieri, anche Elena la guardava con apprensione, pensando, ne era certa, ad un modo per farsi perdonare, quand’invece era lei a doverle forse delle spiegazioni o delle scuse. Aveva passato anni a spingerla tra le braccia di Stefan!
“E’ tutto ok! Sventolati da un’altra parte, grazie!”.
Liv stava risvegliandosi. Presa coscienza del luogo e delle persone e avendo Jeremy di fronte seduto su una sedia a dondolo, scattò a sedere sul divano,
“Che volete da me?!”
“Liv, calmati! Dobbiamo spiegarti molte cose e tu ci ascolterai”, Elena la teneva ferma per le spalle. L’avevano guarita, ma concordava con suo fratello: se le mani erano il mezzo più potente per Liz, dovevano fare in modo che non accedesse con facilità agli incantesimi. Per questo le legarono i polsi dietro la schiena. La spiegazione fu dolorosa per Elena, ma non volle delegarla a nessuno. Sentì la tensione di Enzo quando raccontò di come Damon rimase intrappolato nell’Other Side, il dolore di Rick era un gesto: il capo chino a ricordare l’amico e los guardo perso in un bicchiere di bourbon. Il cuore di Jeremy accelerava a sentire il nome di Bonnie o quello di Damon.
“Ma ora sembra che sia cambiato qualcosa, Liv”,
“Non si può tornare dalla morte Elena, non se anche il purgatorio mistico si è dissolto! Dov’è?!”
“Dov’è chi?!”, la incalzò Jeremy,
“L’assassino di mio fratello!”, dicendo tali frasi protese il busto in avanti, un movimento che fu ritirato all’immediata reazione di Jeremy che, scattato dalla sedia a dondolo, l’aveva presa per il collo,
“Non ci importa nulla di quella testa di cazzo di tuo fratello. E’ colpa sua se siamo a questo punto!”, il tono della sua voce cresceva ad ogni parola,
“E sono contento che Stefan non sia qui, perché tornerebbe alla sua solita buona vena e mi direbbe di trattarti con rispetto e gentilezza! Farai meglio a rispondere alle domande di Elena! Non ho remora alcuna a fare ritorno alla magione Salvatore, e tu?!”. Elena la guardava, Enzo aveva costretto Jeremy ad allontanarsi da lei, mentre Alaric gli ricordava di restare calmo.
“Liv, abbiamo tutti perso, non c’è uno solo di noi che possa dirsi vincitore in questo casino”,
“Mio fratello poteva dirsi vincitore, era tornato indietro, mi aveva salvato la vita e stavamo tornando a casa, fino a che il tuo ex amore cosmico non gli ha strappato la testa. Non gliel’ha tagliata sai? Jeremy te l’ha raccontato? Non l’ha morso o stordito, non gli ha rotto il collo, semplicemente gliel’ha strappata”, la sua voce era priva di inclinazione, dai suoi occhi poche lacrime. Elena intuiva che le aveva versate tutte, e che il dolore era un compagno freddo poggiato sulla sua schiena che le suggeriva la resa. Conosceva quella sensazione e l’aveva vissuta per tutti quei mesi, ma non poteva e non voleva scusarsi.
“Abbiamo una speranza”, le raccontò dei sogni. Le lasciò credere che forse, se Damon e Bonnie si sono salvati in qualche modo anche lo spirito di Liv è finito da qualche parte e forse potrebbero riportarlo indietro.
“Non offendere la mia intelligenza, Elena. Per Luke non c’è nulla da farsi, ma fammi indovina. Da me vuoi sapere cosa sono questi sogni, beh non sono una medium”,
“Non è troppo tardi per diventarlo”. Rick aveva posato il bicchiere e le si era posto davanti, “tocca a te fare ammenda per il gesto di tuo fratello. Dobbiamo capire cosa sono questi sogni e se possono portare conseguenze più grandi”. Liv abbassò il capo riflettendo su quelle parole.
“Damon e Bonnie non sono l’unica ragione per cui sei qui. Io li ho visti e quel mondo o dimensione o stanza sono un’ambientazione prodotta da qualcuno. Dobbiamo capire se questo qualcuno è pericolo per noi, se si è messo dalla nostra parte per averceli mostrati o altro”, Caroline le si era seduta accanto. Liv l’aveva a malapena guardata. Riportò gli occhi su di Elena che si era inginocchiata davanti a lei.
“Liv fa questo e troveremo tutti la libertà. Tutti saremo liberi di tornare alle nostre case. Dev’esserci un collegamento, tra queste visioni e il non poter rientrare a Mystic falls”, le stava slegando i polsi.
“Elena che diamine stai facendo?!”, Jeremy era scattato di nuovo in piedi,
“Non credo sia una buona idea, sono d’accordo col boscaiolo”, la frecciatina di Enzo si attirò uno sguardo di sfida di Jeremy, a cui l’europeo preferì non dare peso.
“Non è un animale in gabbia ok? Non ha più colpe di noi. Stefan ha ucciso suo fratello”. Liv si massaggiava i polsi guardando Elena. Si portò le ginocchia al petto senza spostare lo sguardo, Elena sentiva il suo cuore battere per lo spavento:
“La mia vita è stata un continuo servire gli scopi altrui. Se faccio questa cosa, mi assicuri la libertà?”, Elena la guardava stranita. Era una potente strega eppure appariva incredibilmente fragile,
“Certo, si…Liv chi t’ha fatto sentire così per tutta la tua vita?”,
“Mia madre”.
Era tornata dall’ufficio da poco meno di un’ora, erano le undici passate e non aveva intenzione di cucinare o ordinare cibo d’asporto. Da quando Caroline non poteva fare ritorno a Mystic Falls conosceva il vero senso della solitudine. Si era sentita così persa solo immediatamente dopo il divorzio da Bill. Caroline era tutto ciò che le restava, eppure la sua bambina non poteva fare ritorno a casa. Era da quasi un anno che non la vedere girovagare per casa, con quella sua risata allegra, insieme ad Elena e a Bonnie. Le aveva viste crescere, sentiva di doverle proteggere, eppure non poteva fare nulla. La sua unica preoccupazione era al momento di non macchiare il tavolino in legno mogano con le gocce di vino che solcavano la bottiglia stappata da poco. Doveva subire limitazioni anche al lavoro. Non era riuscita a dare una spiegazione che fosse soddisfacente all’esplosione del Grill e all’avviso dei soccorsi, partito, secondo la commissione d’indagine, troppo tardi. Si limitava ora a coadiuvare la ricostruzione del sistema di sicurezza della città insieme ad Aloisius Evans. I loro uffici erano equidistanti dalla zona relax, e lui aveva dimostrato un sviluppato sesto senso nel saperla alla macchinetta del caffè espresso. Si abbandonava a questi pensieri, sdraiata sul divano, mentre faceva ruotare il vino nel bicchiere quando il bussare alla porta le ridestava i sensi. Ancora vestito come l’aveva lasciato poco più di mezzora prima, Al le piantava in faccia un sorriso da cui spuntavano troppi denti ed aveva in mano più buste di take away.
“Liz, posso entrare?”
“E perché, scusa?”, si era stretta nella vestaglia da camera, aveva indossato una tuta e non aveva alcuna intenzione di tollerarlo oltre per quel giorno
“Come sarebbe a dire? Abbiamo passato le ultime dieci ore in quell’ufficio, in mezzo a statistiche e scartoffie, senza affrontare il vero nocciolo della questione”, la guardava, stringendo il sorriso, un gesto che di falsa allegria non accompagnato dagli occhi, Liz, guidata dall’istinto ritraendosi, aveva spinto la porta, fermata da Al con una gamba,
“Liz, io so del consiglio dei fondatori, so dei vampiri. Ne dobbiamo parlare!”,
“Vampiri?! Hai bevuto per caso?!”, cercava di mantenere la calma, mentre lui guadagnava l’ingresso.
“Non ho bevuto e non fingere con me. In ufficio sono state installate delle telecamere, ma siamo al punto in cui bisogna insabbiare e non mi sporcherò certo le mani da solo”
“Ma certo…”, si girò di scatto, le mani nelle tasche del nuovo completo Armani, mentre Liz si stringeva nella vestaglia
“Non trattarmi con sufficienza, sapere è il mio compto. Riportare l’ordine…beh, quello dipende anche da te. Non volete questo dipartimentato giusto? E neppure io, mi sono lasciato questa merda alle spalle più di vent’anni fa, credimi, voglio finirla quanto prima”. Non poteva più negare l’evidenza,
“Cosa suggerisci?”
“Beh, la busta piena di cibo che ho poggiato qui in terra suggerisce che ho fame, quindi dovremmo parlarne mangiando”,
“ok”. Ora, come vent’anni prima era capace di mandarla in confusione, non lo voleva in casa, ma su un punto aveva ragione: le cose andavano sistemate. Alla svelta. Doveva riacquisire la giurisdizione della città.
ALTROVE
Da quando Caroline l’aveva lasciato solo stava tentando di aprire la porta. Puntualmente veniva respinto verso la parete.
“Andiamo! Voglio capire con la spina nel fianco di poco fa, ma io? Non sono carino abbastanza? Su porta apriti, su”, tendeva le mani e con cautela riprendeva la maniglia, di nuovo una forza lo respinse verso la parete..
“Accidenti!”, mentre batteva i pugni su quel pavimento bianco, si voltò verso la finestra, i suoi cocchi contratti in un’espressione dubbiosa. Per un attimo, solo per attimo, aveva ceduto a quella fantasia, cosa ne sarebbe stato di lui se avesse accettato di essere vivo in quella maniera? Il pavimento prendeva colore, spingendolo ad alzarsi, impaurito
“Ma che diavolo….!”. Poteva chiaramente vedere il parquet. La stanza era rettangolare, profonda e iniziava a profumare di buono, un odore che sentiva conficcato nel profondo, in una parte di lui quasi dimenticata. Camminava lungo i muri avendo finalmente la percezione dello spazio, quando un rumore attirò la sua attenzione. La serratura era scattata e la porta si era spalancata naturalmente lasciando entrare aria di primavera. Si stava dirigendo verso la porta con cautela. All’altezza delle precedenti prove per uscirne, aveva teso un braccio, ora era del tutto fuori.
“Che diamine di posto è mai questo?...”, dinanzi a lui un giardino rigoglioso. All’ingresso della stanza un piccolo corridoio in pietra che se attraversato portava ad un gazebo tondeggiante, issato su colonne greche alle quali l’edera si era arrampicata. All’interno una panchina in pietra che riempiva il perimetro del gazebo. Dall’interno dello stesso, aveva capito di trovarsi al centro di quel giardino, davanti a lui una fontana, alla sua destra un prato di rose gialle, alla sua sinistra bianche. Provò ad andare oltre il gazebo, ma fu respinto, con forza più brutale di quella della maniglia, verso il corridoio di pietra.
“Damon..”, dietro di lui, dinanzi alla porta della stanza, Bonnie gli tendeva la mano. Indossava una veste bianca, con un cinturino di perle verdi alla vita ed un fiore bianco tra i capelli. Si lasciò aiutare ad alzarsi.
“Ti ho portato questa”, gli porse una sacca di sangue.
“Bonnie, dove l’hai presa? Dove siamo?”,
“Questo dovrei chiederlo io a te”
“Che vuoi dire?”
Saneville Town. Dimora di Lorenzo.
Jeremy aveva ceduto a che Liv venisse curata. Alaric si era trattenuto con lui a lungo, in una conversazione che Elena preferì lasciare privata, lo stesso non può dirsi per Enzo, che commentava ogni frase di Rick detta in segno di cordoglio per Damon.
Liv, che era stata addormentata per qualche ora veniva ora svegliata. Il sole s’alzava, ma non in quella casa, non disponendo Enzo di un anello solare. Sentirono bussare alla porta.
“Elena!”,
“Caroline….”, sentiva risalirle la vergogna provata la sera precedente, quand’aveva rischiato di uccidere la sua migliore amica, “io…”,
“No…non spiegare nulla. Siamo tutti stressati e ora abbiamo altro di cui occuparci”, teneva tra le mani il suo diario, in cui lei ed Elena avevano appuntato i sogni. Era tornata a prenderlo dopo l’sms di Stefan che le assicurava di essere rincasato a villa Whitmore. Un sms di scuse per averla messa a disagio. Tanto le bastava. Forse si era sentito strano anche lui e nelle situazioni di stress il cervello reagisce sempre in amniera inaspettata, a volte si fanno voli pindarici con la fantasia, si vuole qualcosa di cui non si sente la necessità…aveva detto così la professoressa al corso di psicologia?!,
“Biondina?!”, Enzo agitò una mano davanti al suo viso, Caroline era assorbita dai suoi pensieri, anche Elena la guardava con apprensione, pensando, ne era certa, ad un modo per farsi perdonare, quand’invece era lei a doverle forse delle spiegazioni o delle scuse. Aveva passato anni a spingerla tra le braccia di Stefan!
“E’ tutto ok! Sventolati da un’altra parte, grazie!”.
Liv stava risvegliandosi. Presa coscienza del luogo e delle persone e avendo Jeremy di fronte seduto su una sedia a dondolo, scattò a sedere sul divano,
“Che volete da me?!”
“Liv, calmati! Dobbiamo spiegarti molte cose e tu ci ascolterai”, Elena la teneva ferma per le spalle. L’avevano guarita, ma concordava con suo fratello: se le mani erano il mezzo più potente per Liz, dovevano fare in modo che non accedesse con facilità agli incantesimi. Per questo le legarono i polsi dietro la schiena. La spiegazione fu dolorosa per Elena, ma non volle delegarla a nessuno. Sentì la tensione di Enzo quando raccontò di come Damon rimase intrappolato nell’Other Side, il dolore di Rick era un gesto: il capo chino a ricordare l’amico e los guardo perso in un bicchiere di bourbon. Il cuore di Jeremy accelerava a sentire il nome di Bonnie o quello di Damon.
“Ma ora sembra che sia cambiato qualcosa, Liv”,
“Non si può tornare dalla morte Elena, non se anche il purgatorio mistico si è dissolto! Dov’è?!”
“Dov’è chi?!”, la incalzò Jeremy,
“L’assassino di mio fratello!”, dicendo tali frasi protese il busto in avanti, un movimento che fu ritirato all’immediata reazione di Jeremy che, scattato dalla sedia a dondolo, l’aveva presa per il collo,
“Non ci importa nulla di quella testa di cazzo di tuo fratello. E’ colpa sua se siamo a questo punto!”, il tono della sua voce cresceva ad ogni parola,
“E sono contento che Stefan non sia qui, perché tornerebbe alla sua solita buona vena e mi direbbe di trattarti con rispetto e gentilezza! Farai meglio a rispondere alle domande di Elena! Non ho remora alcuna a fare ritorno alla magione Salvatore, e tu?!”. Elena la guardava, Enzo aveva costretto Jeremy ad allontanarsi da lei, mentre Alaric gli ricordava di restare calmo.
“Liv, abbiamo tutti perso, non c’è uno solo di noi che possa dirsi vincitore in questo casino”,
“Mio fratello poteva dirsi vincitore, era tornato indietro, mi aveva salvato la vita e stavamo tornando a casa, fino a che il tuo ex amore cosmico non gli ha strappato la testa. Non gliel’ha tagliata sai? Jeremy te l’ha raccontato? Non l’ha morso o stordito, non gli ha rotto il collo, semplicemente gliel’ha strappata”, la sua voce era priva di inclinazione, dai suoi occhi poche lacrime. Elena intuiva che le aveva versate tutte, e che il dolore era un compagno freddo poggiato sulla sua schiena che le suggeriva la resa. Conosceva quella sensazione e l’aveva vissuta per tutti quei mesi, ma non poteva e non voleva scusarsi.
“Abbiamo una speranza”, le raccontò dei sogni. Le lasciò credere che forse, se Damon e Bonnie si sono salvati in qualche modo anche lo spirito di Liv è finito da qualche parte e forse potrebbero riportarlo indietro.
“Non offendere la mia intelligenza, Elena. Per Luke non c’è nulla da farsi, ma fammi indovina. Da me vuoi sapere cosa sono questi sogni, beh non sono una medium”,
“Non è troppo tardi per diventarlo”. Rick aveva posato il bicchiere e le si era posto davanti, “tocca a te fare ammenda per il gesto di tuo fratello. Dobbiamo capire cosa sono questi sogni e se possono portare conseguenze più grandi”. Liv abbassò il capo riflettendo su quelle parole.
“Damon e Bonnie non sono l’unica ragione per cui sei qui. Io li ho visti e quel mondo o dimensione o stanza sono un’ambientazione prodotta da qualcuno. Dobbiamo capire se questo qualcuno è pericolo per noi, se si è messo dalla nostra parte per averceli mostrati o altro”, Caroline le si era seduta accanto. Liv l’aveva a malapena guardata. Riportò gli occhi su di Elena che si era inginocchiata davanti a lei.
“Liv fa questo e troveremo tutti la libertà. Tutti saremo liberi di tornare alle nostre case. Dev’esserci un collegamento, tra queste visioni e il non poter rientrare a Mystic falls”, le stava slegando i polsi.
“Elena che diamine stai facendo?!”, Jeremy era scattato di nuovo in piedi,
“Non credo sia una buona idea, sono d’accordo col boscaiolo”, la frecciatina di Enzo si attirò uno sguardo di sfida di Jeremy, a cui l’europeo preferì non dare peso.
“Non è un animale in gabbia ok? Non ha più colpe di noi. Stefan ha ucciso suo fratello”. Liv si massaggiava i polsi guardando Elena. Si portò le ginocchia al petto senza spostare lo sguardo, Elena sentiva il suo cuore battere per lo spavento:
“La mia vita è stata un continuo servire gli scopi altrui. Se faccio questa cosa, mi assicuri la libertà?”, Elena la guardava stranita. Era una potente strega eppure appariva incredibilmente fragile,
“Certo, si…Liv chi t’ha fatto sentire così per tutta la tua vita?”,
“Mia madre”.
Richmond.
Residenza Johnet.
Si preparavano per la partenza, Jamila era in viaggio verso Mystic Falls con una sconosciuta, potenzialmente pericolosa e Tyler aveva bisogno di risposte, soprattutto sull’antidoto cui stava lavorando con il sangue di Peyton.
“Tyler, ascolta. So che hai fretta di andartene, ma non possiamo lasciarli così, hai visto anche tu come sono trattati. Devi parlarci!”, Matt era in camera di Tyler, mentre questi preparava i bagagli.
“Devo farlo per loro…o per lei?”, Matt lo guardava aggrottando la fronte.
“Lo so che ti piace, lo vedo. Lei è fantastica e su questo non si discute, ma suo fratello è un folle. Se perdesse la supremazia sul branco e sulla famiglia ce la farebbe pagare.
“Da ibrido hai affrontato Klaus”,
“L’hai detto amico, da ibrido. Però senti, un tentativo, uno solo, parlerò col branco stasera. Adam è ad un ricevimento stasera e ci ha invitati, vai solo tu con Peyton”,
“E che scusa ti inventerai?”,
“Nessuna scusa. Gli dirò apertamente che vado in montagna a salutare il branco. Per lui non sono nessuno ora, non rappresento una minaccia”,
“Avrebbe dovuto conoscerti qualche mese fa”, Matt sorrideva mentre gli porgeva una birra, fresco regalo del mini bar.
Si preparavano per la partenza, Jamila era in viaggio verso Mystic Falls con una sconosciuta, potenzialmente pericolosa e Tyler aveva bisogno di risposte, soprattutto sull’antidoto cui stava lavorando con il sangue di Peyton.
“Tyler, ascolta. So che hai fretta di andartene, ma non possiamo lasciarli così, hai visto anche tu come sono trattati. Devi parlarci!”, Matt era in camera di Tyler, mentre questi preparava i bagagli.
“Devo farlo per loro…o per lei?”, Matt lo guardava aggrottando la fronte.
“Lo so che ti piace, lo vedo. Lei è fantastica e su questo non si discute, ma suo fratello è un folle. Se perdesse la supremazia sul branco e sulla famiglia ce la farebbe pagare.
“Da ibrido hai affrontato Klaus”,
“L’hai detto amico, da ibrido. Però senti, un tentativo, uno solo, parlerò col branco stasera. Adam è ad un ricevimento stasera e ci ha invitati, vai solo tu con Peyton”,
“E che scusa ti inventerai?”,
“Nessuna scusa. Gli dirò apertamente che vado in montagna a salutare il branco. Per lui non sono nessuno ora, non rappresento una minaccia”,
“Avrebbe dovuto conoscerti qualche mese fa”, Matt sorrideva mentre gli porgeva una birra, fresco regalo del mini bar.
Peyton era rincasata da poco. Adam le aveva fatto cucire un vestito d’alta sartoria italiana e pretendeva che lei lo provasse.
“E’ stupenda con quel vestito addosso. Avreste dovuto vederla, ma non troppo! Lei è la mia sorellina!”,
“Sarà stata sicuramente bellissima”, Matt le sorrideva, ad Adam non sfuggì questo particolare, ma venne distratto da Tyler:
“Staserà andrò in montagna, a salutare il branco. Domani partiamo, solo Matt sarà dei vostri”,
“Oh bene. Hai uno smoking ragazzo?”,
“Non è il primo indumento che metto in valigia di solito, per cui no”, gli sorrise forzatamente.
“Te ne procurerà uno la cameriera, falle avere la tua taglia”, Matt gli concesse un segno d’assenso col capo.
“Ancora non mi hai detto dov’è il ricevimento”, Peyton sorseggiava del caffè dopo averlo offerto ai loro ospiti e ad Adam, che si avviava verso le sue stanze, girandosi giusto il tempo di dire: “Villa Parker”. I tre si guardarono, mentre Adam con un ghigno si richiudeva la porta alle spalle.
“Devi venire
con noi!”
“Come?”, erano pronti per il ricevimento, al quale avrebbero presenziato dal primo pomeriggio, decisione all’ultimo presa da Adam. Di solito preferiva saltare il rituale del coktail, ma volle coinvolgere assolutamente Matt in tutto il rituale di un gran ricevimento.
“ Non hai bisogno di stare qui, la tua natura sovrannaturale non ti vincola e a Mystic Falls ora come ora non sentiresti neppure il profumo di una bistecca al sangue!”, la fece sorridere. Adorava la fossetta che le si faceva sulla guancia destra quando rideva.
“Non posso abbandonare mio fratello”, gli rispose infine.
“Ti capisco, ma fidati ho una certa esperienza, devi trovare la tua strada. I miei amici sono una famiglia per me. Mia sorella è morta, mia madre è lontana e loro invece ci sono sempre stati, anche se con problemi ben gravi come sai. Averli vicino però non mi sta impedendo di prendere in mano la mia vita e le mie decisioni”,
“Via di qui io sarei sola…”,
“No, non lo saresti”, le strinse una mano ricordandole che la libertà di essere ciò che vuole è lontana il tempo di preparare una valigia.
Altrove
“Come?”, erano pronti per il ricevimento, al quale avrebbero presenziato dal primo pomeriggio, decisione all’ultimo presa da Adam. Di solito preferiva saltare il rituale del coktail, ma volle coinvolgere assolutamente Matt in tutto il rituale di un gran ricevimento.
“ Non hai bisogno di stare qui, la tua natura sovrannaturale non ti vincola e a Mystic Falls ora come ora non sentiresti neppure il profumo di una bistecca al sangue!”, la fece sorridere. Adorava la fossetta che le si faceva sulla guancia destra quando rideva.
“Non posso abbandonare mio fratello”, gli rispose infine.
“Ti capisco, ma fidati ho una certa esperienza, devi trovare la tua strada. I miei amici sono una famiglia per me. Mia sorella è morta, mia madre è lontana e loro invece ci sono sempre stati, anche se con problemi ben gravi come sai. Averli vicino però non mi sta impedendo di prendere in mano la mia vita e le mie decisioni”,
“Via di qui io sarei sola…”,
“No, non lo saresti”, le strinse una mano ricordandole che la libertà di essere ciò che vuole è lontana il tempo di preparare una valigia.
Altrove
“Che vuol
dire che devi chiedere a me dove siamo?”,
“Significa che io ti ho salvato tenendoti la mano quando il fascio di luce ci ha colpiti, ma non ho deciso io dove andare”, così dicendo rientrò nella stanza. Damon la seguì lasciando l’uscio aperto e verificando di poterne riuscire.
“E questo spettacolino qui alla finestra? Avrei preferito spiare uno spogliatoio femminile o una spiaggia di belle donne in topless! La mia condanna è fissare me stesso all’infinito vivere una vita normale da amico di Caroline Forbes?! E quelle visioni? Lei è stata qui, ha provato ad uscire, ma la porta l’ha respinta”, si era riseduto sul davanzale. Bonnie si guardava intorno.
“Quelle non erano visioni, così come non lo sono queste alla finestra. Caroline è stata qui e quello che tu vedi è la proiezione di una parte di te che si è aggrappata alla tua umanità perduta e che ti permette di essere la persona che sei. E c’è una parte di te, più profonda, più radicata, che vorrebbe vivere con Elena in qualsiasi forma, ed è quella la parte di te che riemergeva ad ogni sogno e ti faceva provare dolore”,
“Questo non è possibile!”,
“Lo so è difficile da credere..”
“No, no no! Elena ha TOLTO il dolore! Non esiste in nessun universo, in nessuna stanza, in nessun lato di questo strambo universo che sia lei la causa delle sofferenze! Come è possibile se è solo pensando a lei che tornavo me stess?!”,
“Questo dovrai capirlo da solo e alla svelta. Io ho solo concesso alle tue paure e a i tuoi desideri di manifestarsi”. Bonnie sentiva un bisbiglio in lontananza, il corrugato, gli occhi a stringersi.
“Devo tornare..”
“Tornare dove?!”, le teneva le braccia, ch iniziarono a scottare bruciandolo, facendolo staccare.
“Significa che io ti ho salvato tenendoti la mano quando il fascio di luce ci ha colpiti, ma non ho deciso io dove andare”, così dicendo rientrò nella stanza. Damon la seguì lasciando l’uscio aperto e verificando di poterne riuscire.
“E questo spettacolino qui alla finestra? Avrei preferito spiare uno spogliatoio femminile o una spiaggia di belle donne in topless! La mia condanna è fissare me stesso all’infinito vivere una vita normale da amico di Caroline Forbes?! E quelle visioni? Lei è stata qui, ha provato ad uscire, ma la porta l’ha respinta”, si era riseduto sul davanzale. Bonnie si guardava intorno.
“Quelle non erano visioni, così come non lo sono queste alla finestra. Caroline è stata qui e quello che tu vedi è la proiezione di una parte di te che si è aggrappata alla tua umanità perduta e che ti permette di essere la persona che sei. E c’è una parte di te, più profonda, più radicata, che vorrebbe vivere con Elena in qualsiasi forma, ed è quella la parte di te che riemergeva ad ogni sogno e ti faceva provare dolore”,
“Questo non è possibile!”,
“Lo so è difficile da credere..”
“No, no no! Elena ha TOLTO il dolore! Non esiste in nessun universo, in nessuna stanza, in nessun lato di questo strambo universo che sia lei la causa delle sofferenze! Come è possibile se è solo pensando a lei che tornavo me stess?!”,
“Questo dovrai capirlo da solo e alla svelta. Io ho solo concesso alle tue paure e a i tuoi desideri di manifestarsi”. Bonnie sentiva un bisbiglio in lontananza, il corrugato, gli occhi a stringersi.
“Devo tornare..”
“Tornare dove?!”, le teneva le braccia, ch iniziarono a scottare bruciandolo, facendolo staccare.
Lasciò Damon
guardare dubbioso ed incredulo il sé alla finestra, che carezzava il diario verde
oliva con la E incisa in basso. Si richiuse la porta alle spalle, poggiandosi
ad essa chiudendo e riaprendo gli occhi. In quest’atto tornò al suo aspetto: la
Dama.
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