Fan fiction the vampire diaries st.6 ep.5
Uno, nessuno e centomila.
Richmond.
“Perché diavolo mi hai trascinato qui, ora?! Dobbiamo tornare dai ragazzi, faresti meglio a parlare di questa soluzione alternativa, prima che ti lasci da solo o che ti riprenda a calci in culo!”, Enzo si voltò di botto:
“Non mi hai levato le mani di dosso perché ti ho detto che forse sapevo come riportarlo indietro, ma solo perché te l’avrei spezzate”,
“Sai che ti dico? Come ti pare! Io torno a casa! Sei stato più di mezzo secolo rinchiuso, vedi aria per quanto? Due settimane e fornisci la panacea per i mali che stiamo attraversando?...io non ti credo!”. L’espressione di indignazione e sofferenza sul viso di Alaric incrociò quella seria e spogliata della maschera menefreghista di Enzo, mal si tolleravano, ma avevano, che gli piacesse o meno, una persona in comune. Enzo avanzò qualche passo verso Rick, gli indicò un bar notturno e si incamminarono. Enzo poteva camminare solo di notte, perciò aveva fretta. Ordinò un bordeaux invecchiato al punto giusto, soggiogando il barista a portargli tutta la bottiglia e ad allontanarsi, ne offrì un bicchiere ad Alaric:
“No grazie, preferisco…”,
“Cos’è? Fai anche il difficile? Il tuo fegato non ne risentirà, tranquillo”,
Alaric spinse il bicchiere verso di lui perché glielo riempisse. Aveva scelto il tavolo più vicino all’entrata, non aveva perso l’abitudine di guardarsi le spalle, era un refuso del terrore che aveva vissuto in cella, un ultimo dono dell’Augustine, la sua disinvoltura era come una tavola di marmo sorretta da piedi di cartone, impossibile a reggersi, e senza Damon, si era aggiunta come componente lo smarrimento e la pena per se stesso, per essere incapace di sopportare quel mondo, per lui nuovo, senza il suo amico.
“Nell’altro lato, mentre cercavo Silas per fargli insegnare l’incantesimo a Bonnie, l’ho visto parlare con una strega, sembrava conoscerla bene…
Rick lo guardava, attento,
…voleva impedire che Silas tornasse, che comunicasse con Bonnie, ed in qualche modo ha invocato il vortice”
“Che vuol dire invocato? Nessuno poteva controllarlo!”,
“Non ho detto che lo controllava. Non. Interrompermi.”
“tz…”
“Si preparava per cercare la pace, per passare oltre, e teneva la mano sul braccio di Silas, quando il vortice è arrivato, Silas le ha chiesto perché e lei ha risposto che Madame era rimasta silente, ma era venuto il tempo…poi ha cercato di lanciarlo verso il vortice”,
“Una vecchia strega ha cercato di lanciare il più potente bastardo che abbia mai camminato sulla faccia della terra verso qualcosa?! No, non è possibile”
“Lui ne aveva timore, e oserei dire rispetto”
“Ora la certezza che stai blaterando!”
“L’ha chiamata “madre”, quest’informazione influisce sulla possibilità che tu stia finalmente zitta e mi lasci finire?!”, Alaric, già avviato alla porta, tornò indietro con riluttanza e si mise a sedere.
“Come sai, Silas è riuscito ad indottrinare la nostra bella àncora, per cui la donna ha fallito il suo compito”
“Come?”
“Quando ha capito cosa sua madre stava per fargli l’ha scaraventata verso il vortice. Forse quella povera donna era convinta che in ultimo avrebbe fatto la cosa giusta.”
“E poi è venuto a riprenderselo a quanto pare, questo in che modo ci aiuterebbe?”
Enzo sorseggiava il secondo bicchiere.
“Perché mentre il vento la sollevava e tirava via da quel figlio degenere, gli ha urlato di trovare i Parker a Richmond e di fermare Madame per salvare le anime dell’altro lato. Credo confidasse che il figlio si muovesse se non a compassione, per egoismo, per eliminare qualcuno che minacciasse più potenza di lui”.
“Per questo siamo a Richmond? Vuoi fermare questa donna? Io sono un originario, tu avrai subito torture che ti hanno forgiato il carattere, ma non siamo Silas”. Disgustato, Enzo gli versava il secondo bicchiere di vino.
“Non voglio fare squadra con te perché sei abbastanza disturbato da seguirmi, ho una pista, io ho qualcosa non come quei mocciosi!”,
“Quei mocciosi, come tu li chiami, erano la sua famiglia!”, Enzo non si scompose, aveva rifoggiato il bicchiere sul tavolo e ne carezzava il bordo:
“Sono stato io la sua famiglia, per molto tempo”.
“So che ti ha lasciato un messaggio”, la voce distesa,
“Uauuu, Barbie non perde un colpo”,
“No…non è stata lei a dirmelo”, nel loro sguardo l’intesa. Enzo faticava ad accettare che Damon si fidasse così profondamente di qualcuno che non era lui, doveva accettare che mentre lui aveva messo in stand-by la sua esistenza, dietro quelle sbarre, Damon era andato avanti, aveva costruito rapporti duraturi, alienati dai ricordi, e ora pretendeva da qualunque posto fosse finito, che lui facesse lo stesso, non aveva calcolato però quanta poca fiducia gli era rimasta nel genere umano, e quella poca che ancora c’era portava il suo nome. Si risolse di seguire Rick, non per lui, non per i mocciosi, non per Damon, ma per darsi la possibilità di chiudere quella porta che sente spifferargli alle spalle il gelo ed il dolore del tormento passato.
FORESTA, VIRGINIA.
Matt si guardava attorno, sembrava fossero tutti regolati come le molle di un orologio, un ingranaggio sincronizzato sui desideri di Adam, c’era persino un cambio di guardia fuori la sua tenda. “Quell’esaltato”, ciò che pensava rifletteva attraverso la smorfia di disprezzo che le sue labbra inarcarono quando vide tre donne in abiti succinti entrare nella tenda, Tyler parlava con i suoi vecchi compagni di branco, e poco dopo Matt vide uscire due delle tre ragazze. Sentì chiaramente il sollievo nella loro voce quando si dissero che per quella sera l’avevano scampata.
“Incuriosito?”
“Mmm?”, la ragazza era dietro di lui, gli porgeva una birra ghiacciata.
“Grazie”,
“Io sono Peyton”, gli tese la mano, che Matt accolse, presentandosi a sua volta.
“Perché gli permettere questo? Perché non andate via?”, Peyton sorrise. “Sembra semplice vero? Salutare, anzi non salutare, ed andarsene, prendere il sentiero, scendere a valle, ricominciare a vivere”,
“Bhè, si, per me lo è”, lei sorrise, mentre si incamminava verso le voci che l’avevano chiamata.
“Lasciala perdere, amico”. Tyler gli si era avvicinato.
“Come fai a resistere a quest’impulso? Io avrei voluto spaccargli la faccia già un centinaio di volte”,
“E’ l’alfa, Matt. Metterei in difficoltà quanti tra il gruppo scenderebbero in campo a sottrarmi alla sua furia”.
“Sembrano asserviti”,
“No, funziona più come una grande famiglia disfunzionale. E’ questione di fiducia, anche se c’è chi non sopporti in famiglia, è comunque la famiglia. E lui tiene ordine, sebbene a modo suo”, al pianto della terza ragazza che usciva dalla tenda, si voltarono entrambi, aveva morsi sulle braccia e sulle gambe. Adam uscì poco dopo, evidentemente ubriaco, si avvicinò a Tyler e posandogli le mani sulle spalle:
“Amico mio! Voglio farti un regalo! Che ne diresti di una fuoriserie?!”
Matt sorrise sarcastico, e Tyler, insospettito chiese se era diventato ricco.
“Ora sì”, una risata soffocata dall’alcool si fece strada da Adam, che tracannando la birra di Tyler tornò nella sua tenda.
“La festa è finita gente!”.
Quella notte Matt non dormì, non poteva, non aveva idea di cosa aspettarsi, soprattutto doveva vigilare su Tyler, non avrebbe permesso che l’unico tra i suoi amici che stava recuperando al sua esistenza se la vedesse portata via da un mentecatto.
“Matt!”, bassa, ma decisa, la voce di Peyton invitava lui e Tyler a seguirla lontano dall’accampamento.
“Peyton, devi andartene di qui!”
“Tyler..”
“Ha ucciso i vostri genitori.”
“Un momento! Tu e quel mostro siete fratelli?”, Matt la guardava e nei suoi occhi la domanda: cosa poteva aspettarsi da lei?
“Io non sono come lui. Tyler, Jamila aveva capito, ne era venuta a capo!”
“Dimmi!”
“I licantropi non sono di un’unica specie, ci sono più gruppi, più gerarchie, ma funzionalmente sono organizzate a seconda della razza genetica”,
“Razza genetica?!”
“Bruni e vermigli. Io e Jamila abbiamo dato questi nomi pensando al colore del manto, non sappiamo quali sono quelli…bhè…scientifici...”
“Va avanti…”
“Nei primi il gene passa alla progenie maschile, nei secondi a quella femminile e se entrambi i genitori sono delle due specie o nascono bastardi potenziati come mio fratello, o…”
“Tu.”
“Io.”, Matt tagliato fuori dal discorso cercava di raccogliere tutte quelle informazioni, gli scoppiava la testa. ”Che vuol dire tu?!”. I luminosi occhi neri di Peyton incorniciati da riccoli ancor più neri interrogavano Tyler, che si voltò verso Matt:” Lei può trasformarsi senza dolore, senza subire l’influsso della luna, senza essere schiava delle pulsioni e della rabbia e…senza aver ucciso nessuno”, si voltò a guardarla sorridendo, “il licantropo ideale, e geneticamente perfetto”, sorrise.
“Ma allora tu hai la precisa responsabilità di liberare tutte queste persone, se è come dici puoi facilmente mettere al suo posto Adam!”
“Non è così semplice, è mio fratello e deporre l’alfa significa ucciderlo.”
“E sebbene abbia ucciso i vostri genitori, rimane tuo fratello”, il pensiero di Matt corse a Vicky, e forse parlava più a se stesso che a Peyton, non poteva biasimarla se cercava di redimere suo fratello.
“Peyton, dov’è Jamilia?”
“Ty…Adam crede se ne sia semplicemente andata, io la sapevo a Richmond, convocata dalla sua congrega di streghe. Mi aveva detto che sarebbe tornare, fosse solo per prendere un po’ del mio sangue e studiare un antidoto, ma non riesco più a rintracciarla, è sparita…”
“Dove si trova questa congrega?”
“Villa Parker”
“…Parker”…Matt si voltò, lui e Tyler si guardarono.
WHITMORE COLLEGE
“Come ti senti?!”
“Io…confusa, stordita…ed ho fame”, Elena prese una sacca di sangue dalla loro riserva e la diede all’amica, la guardava col cuore ricolmo di speranze inespresse, con un ottimismo che si autocensurava e con la voglia di chiederle tutto di questa sua visione, che le stava scoppiando in gola, urlo sordo, parzialmente distratto dall’avvertire il disagio di Stefan, teneva Caroline attratta a sè, l’aveva sollevata ed adagiata sul letto, eppure non riusciva a staccarsene, le prendeva, alternativamente, la testa fra le mani, e le mani nelle sue, riuscì a staccarsi solo quand’ella gli disse “E’ tutto ok, Stefan, sto bene, ora”,
“Sembravi affamata come…”
“Come fossi in transizione…”, si guardarono confusi.
“Caroline, cosa hai visto?!”
“Elena…io devo scusarmi con te…io ho cercato in tutti i modi di toglierti ogni speranza, ogni appiglio, non sono stata una buona amica, non volevo accogliere quella tua confidenza, non….Non ho permesso a me stessa di credere che ci fosse un modo per riportarli indietro, che ancora una volta l’avremmo scampata”, si voltò a guardare Stefan che annuiva, “non ho avuto fede. Perdonami se ho cercato di toglierla anche a te”,
“Non pensarci ora, hai trovato un modo di reagire, e l’hai seguito, mi hai trascinata fino ad oggi, son viva perché ti è importato che fosse così, non posso rimproverarti se hai concentrato le tue energie su chi restava qui, accanto a te, da proteggere, ma, per favore, ti supplico Care, tu devi dirmi cos’hai visto!”. Caroline raccontò loro di come urlasse cercando di attirare l’attenzione di Damon e di Bonnie, di come le sembrava che Bonnie fosse libera di vagare in quel mondo, di come i tormenti di Damon sembravano aver preso vita e consumarlo dall’interno, invocava Elena, ed il nome dell’amata si perdeva nelle lacrime prima che lui stesse perdesse percezione di sé. Elena le mostrò gli anelli, ma Caroline non seppe dirle se Damon avesse o meno il suo.
“Come hai fatto? Voglio dire, sei uscita di qui e?”, il rimorso di Stefan per quanto le aveva fatto era troppo forte per liquidarlo con delle scuse durante quella spiegazione, necessitava di trovare un momento per parlarle.
“Una donna mi è apparsa davanti, non l’ho sentita arrivare, non ho fatto in tempo a capire chi fosse, se l’avessi mai vista prima, aveva una vestito bianco con un cinturino di perline verdi, di una bellezza che mi ha abbagliata e due dolcissimi occhi azzurri”,
“E questa donna ti ha detto qualcosa?”, Elena guardava Stefan accigliarsi.
“Mi ha accarezzato la guancia e dopo ha detto “Và da Stefan”…”, Stefan scatto in piedi.
“Non…non può essere…”,
“Stefan!chi è? Chi è quella donna?”, Elena e Caroline, che nel mentre si era alzata, impaurita dal suo scatto improvviso, attendevano che lui parlasse.
“Io ricordo una donna, ero molto piccolo…In sogno, lei carezzava Damon e diceva “Và da Stefan”, ricordo che mi svegliavo impaurito e correvo in camera di mio fratello per dormire con lui”
“E ti succedeva spesso?”
“Ogni notte, per molti anni. Nostro padre aggiunse un letto in camera di Damon, e i sogni sparirono. Quando partì in guerra dormii da solo, ma non sognai altro, e comunque dopo non molto…”
“Arrivò Katherine”, Elena lo incalzava.
“Sì, arrivò Katherine”.
ALTROVE.
Bonnie passeggiava con la Dama,tra i roseti, guardava le altre ragazze disporsi in cerchio per ascoltare la Dama, le aveva riunite perché il tempo era vicino, così le aveva detto, “Bonnie è vicino il tempo che le decisioni vengano prese, sei stata troppo qui, i patti non erano questi, ma hai portato con te un interessante aggiunta, devi capire che tutto questo è mosso da me per qualcosa che mi sta molto a cuore, e tu mi sei molto cara, sei l’ultima di una gloriosa stirpe e hai un cuore generoso, per me è stato un onore accoglierti qui, ma è tempo che tu ritorni, vedo che il tuo cuore ha già scelto cosa tu devi essere, cosa il tuo animo ti suggerisce, non potrei essere più fiera di tanta risolutezza, ma la nostra interessante aggiunta…è un’aggiunta molto testarda! Questo non è un aldilà, è un rito, voi avete una scelta da compiere, e per lui si sta rivelando ardua. Io ti chiedo di aspettare questa sua decisione. E’ stata la tua natura di àncora a trascinarlo qui, la tua anima è responsabile della sua in questa realtà”. Era passato qualche tempo da quando le aveva parlato a quel modo, e Bonnie sentiva l’inquietudine di ciò che stava per accadere, non sapeva spiegarselo, ma sapeva che quando e se lei e Damon fossero riusciti a tornare, ci sarebbero state conseguenze. Lei non aveva deciso nulla in cuor suo, desiderava riavere la sua vita, questo si, ma sul cosa essere e quando esserlo…non aveva idea di cosa la Dama intendesse.
Le ragazze si erano disposte ad ascoltare la Dama, narrò di un fattore che seminò erbe troppo vicino al suo piccolo recinto di bestiame. Una sera, un agnello, incuriosito dagli aromi, tentò di oltrepassare il piccolo recinto, riuscito a passare oltre la barriera di legno, fu fermato da una volpe, volpe con occhi rossi e zanne. Mentre raccontava, preparava una miscela di erbe, facendo disporre le ragazza in cerchio, passò la miscela sulla fronte e sulle labbra di undici di loro, fino a giungere a Bonnie, che non unse.
“E’ il tempo Bonnie, molte cose stanno accadendo, la sicurezza di questo posto è minata. Lui deve scegliere”.
Gli occhi di Damon tornarono del loro azzurro vivo, mentre il ragazzo veniva rilasciato dalla forza che lo teneva sospeso, con grazia fino al pavimento. Era, dopo molto, finalmente presente a se stesso. Guardava e tastava il suo corpo, fino a che si accorse di non avere l’anello, e ricordò di non averlo da molto ormai, di averlo lasciato ad Elena. Non sapeva come ciò fosse possibile, ma ammise a se stesso che quel pensiero lo consolava, lei sapeva. Sapeva che sarebbe arrivato all’inferno e fatto ritorno, tutto pur di mantenere quella promessa. Si diresse verso l’alta porta in legno bianco, e afferrò la maniglia, fu respinto con violenza verso la parete. Si alzò a fatica e da una delle finestre prese vita una specie di filmato. Poteva vedere se stesso, al college, sistemare la moto di Stefan, il diario di Elena, e l’anello lasciatole nel comò. Batte i pugni sul davanzale con violenza.
“Bonnieeeee!!!!”, urlava. Un urlo potente e al tempo stesso spezzato da quel nodo in gola che non si decideva a lasciare andare.
“Stefan…Elena…”, rivolse uno sguardo alla stanza, “Non c’è nessuno che mi ascolta! Tanto vale uccidermi, piuttosto che tenermi qui! Perché tenermi qui se neanche l’altro alto mi ha voluto per più di cinque minuti eh?! Sono un tipo difficile, rispeditemi a casa! Mi sentite?!”, guardava verso il soffitto. Sentì la porta aprirsi, e vide comparire Bonnie.
“Oh, grazie al cielo!”, si abbracciarono.
“Bevi, Damon”, gli porse il polso, da cui Damon si staccò poco dopo.
“Cos’è questa specie di grande fratello?!”
“E quello che avresti potuto avere, o che potresti volere o non volere mai…”
“Cos’è?! La morte ti ha resto ancora più criptica?”
“Damon, devi accogliere ciò che il tuo cuore ti suggerisce, e devi farlo per te, non per altri, o non potrai lasciare questa stanza ed attraversare con me questa porta, e la Dama ha fretta. Ha detto che Jeremy ci ha dato un vantaggio, ma non so cosa vuol dire, so solo che abbiamo una possibilità per tornare a casa”.
Damon, che si era girato a guardare quel se stesso diverso, e di cui non capiva quanto di lui c’era in quella visione, guardando l’altra finestra e la disposizione della stanza, si accigliava incredulo e dolorosamente insospettito:
“Hai detto Dama?!”, Bonnie lo interrogava con lo sguardo, fino a che non si sentì richiamare,
“Devo andare Damon, ma tornerò presto. Tu pensa a ciò che ti ho detto, interroga il tuo cuore, fallo alla svelta!”. Uscì velocemente.
Dama era inginocchiata, affaticata. Permettere quell’incontro le costava l’ira dei suoi avi e dei congiunti. Non dovrebbe essere lì, combatteva il corso degli eventi da quando grams era ricorsa a lei, ma non avrebbe potuto, né voluto, fare altrimenti.
MYSTIC FALLS
Jeremy lavava via il sangue di Liv dalle scarpe, le aveva spezzato il polso della mano destra perché la stupida si era lasciata sfuggire che non esercita la magia in altro modo se non con l’imposizione delle mani. La stava nutrendo, doveva trovare un modo per far rientrare tutti a Mystic Falls, non poteva riavere Bonnie, o Damon, chissà che avrebbe detto Damon di tutto questo?...ma rivoleva Alaric ed Elena a casa, e Liv era la chiave.
WHITMORE COLLEGE.
Elena era uscita, Enzo l’aveva chiamata e a conferma delle sue parole, Alaric la rassicurava di incontrarsi fuori Mystic Falls, forse potevano fare ancora qualcosa. Stefan le aveva detto di avviarsi, avrebbe aspettato Caroline, era il minimo dopo ciò che aveva fatto.
Caroline aveva fatto una doccia, velocemente aveva asciugato i capelli e si sentiva a disagio nel sapere Stefan ad attenderla nella stanza accanto. Avrebbe fatto riferimento al suo arrivo, e lei non voleva che si scusasse, che si sentisse in colpa. La compassione, il senso di colpa, il dovere, erano i punti deboli di lui, ora proprio lei aveva provocato una ferita tra quelle che questi sentimenti gli avevano lasciato nell’animo, in parte lacerandolo. Fece un profondo respiro, pronta ad esibire il suo più sincero sorriso, ma quando uscì dal bagno lo vide seduto ai piedi del suo letto, con il suo peluche in mano ed il capo chino.
“Non ho scusanti”,
“Stefan…”
“Ti prego, lasciami finire, è giusto così”, guardava da un capo all’altro della stanza, non riusciva a guardarle il viso, Caroline capì la frustrazione che provava, il senso di smarrimento e delusione per se stesso, per essersi lasciato andare, come forse Damon avrebbe fatto, ma erano diversi, profondamente diversi. Stefan non avrebbe mai più giudicato l’impulso di suo fratello a proteggere chi ama, né i mezzi tramite cui riesce nel farlo, ma non poteva essere lui, doveva accettare i rigidi limiti che la sua coscienza gli imponeva e sebbene il gesto di zittirla attraverso una morte momentanea potesse essere effettivamente troppo forte, forse persino per Damon nei suoi momenti migliori, lei lo capiva. Avvicinò la sedia di fronte a Stefan, gli tolse il peluche dalle mani e lo costrinse a guardala, gli sorrideva, come sempre. Lei c’era, come sempre.
“Sono stato ingiusto, proprio con te. Non riesco ancora a credere di averti fatto del male e spero ardentemente che troverai in cuor tuo la forza per scusarmi”,
“Non sei l’unico ad avere colpe. Non ho capito il momento, non vi ho capiti, né te né Elena, né Jeremy. Mi sono concentrata ad andare avanti, tu eri tornato dall’altro lato e questo mi ha permesso di affrontare il lutto con leggerezza…Oddio sono orribile, è di tuo fratello che stiamo parlando e della mia migliore amica, ma la verità è questa: ho cercato un modo di andare avanti, non rispettando forse il vostro dolore, ma credevo ne avessimo tutti bisogno. Ora mi rendo conto che avevamo solo bisogno di stringerci per alleggerire le nostre pene. Sono stata una stupida, a non chiamarti quando eri a New Orleans, a non lasciarti modo di spiegare la faccenda di Luke, ed accetterò le tue scuse solo se tu accetterai le mie”.
Stefan si alzò tirandola per un braccio, l’abbraccio adagiando perfettamente il corpo al suo, com’era confortante il suo abbraccio, quanto riusciva a calmarlo…Caroline sentì che stava diventando diverso quello che provava mentre lo stringeva a sé, sentiva la protezione e l’esser stretta, Stefan le carezzava i capelli, che si sorprese ad assaporarne il profumo, Caroline istintivamente si distaccò di poco, fino a che si trovarono a guardarsi, lei aveva sciolto l’abbraccio, lui le carezzava la guancia destra e le teneva il braccio sinistro. Arrivò così intenso, insensato, ed inaspettato che quando le loro labbra si staccarono non riuscirono a proferire parola, e Caroline approfittando della velocità che la sua condizione le donava, si allontanò dall’alloggio.
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